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Strage di via D'amelio: chi è la sesta vittima?


È il 19 luglio 1992 e alle ore 16:58 il magistrato italiano antimafia Paolo Borsellino fa il suo ingresso, con la sua scorta, in Via D’Amelio. Esattamente un minuto dopo, alle 16:59, il suono del citofono collegato all’appartamento della madre dà il via alla strage.

Nei successivi istanti persero la vita, oltre il magistrato, quattro uomini e una donna della sua scorta: le vittime dell’esplosione furono sei.

La domanda, a questo punto, sorge spontanea: chi è la ragazza che tragicamente conquistò l’appellativo di ‘settima vittima’?

Rita Atria è stata una testimone di giustizia italiana e perse la vita a soli 17 anni proprio a causa della sua collaborazione anti-mafiosa. La ragazza fu trovata esanime esattamente una settimana dopo la famosa strage. La causa della sua morte fu classificata sbrigativamente come suicidio, forse per indagini svolte in modo scorretto o forse per convenienza.

Prima di approfondire gli avvenimenti dell’ultimo periodo di vita della ragazzina, ritengo sia necessario che un rapido excursus della sua infanzia.

Rita nacque a Partanna, un piccolo comune in provincia di Trapani, il 4 settembre 1974 e non riuscì mai, purtroppo, a condurre una vita tranquilla.

Il padre, Vito Atria, boss mafioso, venne infatti ucciso nel 1985 a causa di un agguato per mano di Cosa Nostra. Nonostante ciò, la giovane ebbe modo di conoscere e studiare tutte le pratiche, anche quelle più intime e segrete, delle organizzazioni criminali organizzate del suo paesino d’origine.

Qualche mese dopo l’omicidio del fratello, Nicola Atria, anch’esso coinvolto in attività mafiose e da cui la ragazza aveva acquisito tutte le nozioni fondamentali della vita criminale, Rita sentì un certo bisogno di giustizia per gli omicidi avvenuti in famiglia. Nel 1991 decise, quindi, di collaborare al fianco della legge: colui che raccolse le sue dichiarazioni fu proprio Paolo Borsellino. Nei mesi successivi, i due legarono moltissimo, fino ad instaurare un rapporto, caratterizzato da un affetto quasi paterno. Le dichiarazioni di Rita, accolta nel Programma Protezione Testimoni, furono essenziali ai fini dell’arresto di vari soggetti mafiosi di Partanna, Sciacca e Marsala.

Al momento della morte del magistrato, la giovane perse il suo principale punto di riferimento:

“Ora che è morto Borsellino, nessuno può capire che vuoto ha lasciato nella mia vita. Tutti hanno paura, ma io l’unica cosa di cui ho paura è che lo Stato mafioso vincerà e quei poveri scemi che combattono contro i mulini a vento saranno uccisi. Prima di combattere la mafia devi farti un auto-esame di coscienza e poi, dopo aver sconfitto la mafia dentro di te, puoi combattere la mafia che c’è nel giro dei tuoi amici. La mafia siamo noi e il nostro modo sbagliato di comportarci. Borsellino, sei morto per ciò in cui credevi, ma io senza di te sono morta”.


La perdita di Borsellino comportò, in un certo senso, anche una mancanza improvvisa di protezione: non a caso, la ragazza perse la vita, per volontà sua o di qualcun altro, subito dopo la morte dell’uomo a cui si era affidata.

Le circostanze della sua scomparsa sono misteriose: la credenza più comune afferma che Rita abbia deciso di buttarsi dal settimo piano della sua abitazione a Roma.


Successive indagini, però, riportano numerosi incongruenze: “Nella nuova casa Rita ha vissuto tre giorni. Eppure, dopo ch’è morta, nell’appartamento non sono state trovate impronte digitali, neanche le sue”, spiega Nadia Furnari, Vicepresidente dell’Associazione antimafia “Rita Atria”.

Le contraddizioni però non terminano qui. Innanzitutto, la serranda della finestra, da cui la ragazza si sarebbe dovuta buttare, era semichiusa, motivo per cui non si spiega come avrebbe potuto commettere il presunto suicidio. Inoltre, all'interno dell’appartamento è stato trovato un orologio maschile, il quale, però, non è stato inserito tra i reperti. Infine, sono state rilevate tracce di alcol nel sangue di Rita, “Lei non beveva, e in casa non sono stati trovati alcolici”, continua Furnari.

Il Programma Protezione Testimoni, contrariamente a quanto avrebbe dovuto, non è nemmeno stato in grado di assicurare la tutela dell’identità fittizia della ragazza: i docenti della scuola da lei frequentata erano a conoscenza del suo vero nome.


Come se non bastasse, “in camera da letto c’era la sua carta di identità, con il suo nome e cognome vero e gli indirizzi dei luoghi dove aveva abitato fino a quel momento. Il che è difficile da spiegare, dal momento che era una testimone di giustizia che avrebbe dovuto vivere sotto falso nome”, conclude la Vicepresidente dell’Associazione.

Dopo più di 30 anni, il sistema giuridico italiano non è ancora stato in grado di rendere giustizia alla giovane Rita Atria e le reali cause della sua morte rimangono ancora ignote.



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