Questione migrazione: la mobilità spaziale interessa una persona su otto
Quando si parla di migrazione si rischia di banalizzare quello che è un fenomeno di portata internazionale, complesso e dinamico.
Lo scenario migratorio si è evoluto e continuerà a cambiare nel corso del tempo. Esso è influenzato da molteplici fattori come l’interconnessione, la transizione demografica, problemi di natura economica, ambientale e geopolitica.

Le migrazioni, nel mondo, coinvolgono un miliardo di persone, cifra che appare esorbitante e che quasi spaventa, ma proviamo ad analizzarla nel dettaglio: 740 milioni sono migranti interni, ciò vuol dire che non valicano i confini nazionali; e solo 232 milioni (quindi, circa il 3% dell’intera popolazione mondiale) sono migranti internazionali che lasciano, temporaneamente o in linea definitiva, la propria terra di origine.
Di questi 232 milioni, 82 seguono una direzione Sud-Nord e si spostano dal Sud verso il Nord del mondo (vd immagine) e altrettanti 82 seguono la direzione Sud-Sud. Tra i principali Paesi attrattori, al Sud, troviamo l’India, seguita da Malesia, Brasile e Sud Africa.

Molti temono quel 3% -che costituisce i migranti internazionali- a causa della “paura del diverso” e dello stigma sociale che ruota attorno alla figura del migrante, spesso dipinto come un terrorista o un criminale.
Il problema non è la migrazione in sé, ma la politica migratoria che gestisce l’accoglienza, le frontiere e le rimesse o che spera di risolvere la situazione costruendo muri.
Chiudere le frontiere non è affatto una soluzione perché non ferma le migrazioni, anzi provoca un aumento degli irregolari.
Inoltre, occorre specificare cosa si intende per frontiere aperte/chiuse dei Paesi di partenza e di arrivo: spesso, il migrante può lasciare liberamente il Paese di origine (frontiera aperta), entrare nel Paese di destinazione (frontiera aperta), senza -però- poter tornare nel Paese di partenza (frontiera chiusa). A quel punto, tenderà a stabilirsi nel Paese ospitante, non potendo rientrare in patria.
Bisogna investire sull’integrazione nel paese di accoglienza, ma anzitutto su una corretta e sinergica gestione delle frontiere a livello internazionale, creando una rete complementare tra zone di partenza e di arrivo.