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Quando il Governo mette in tavola carne sintetica

La carne sintetica si è resa protagonista del recente dibattito politico: fra favorevoli e contrari, cerchiamo di fare chiarezza.

La carne sintetica è, per amor di precisione, non ‘sintetizzata’, come potrebbe esserlo una sostanza chimica, bensì coltivata in laboratorio.

La base di tutto, infatti, è l’ingegneria tissutale, l’insieme di tecniche biotecnologiche atte a modificare l’architettura cellulare dei tessuti animali. Più che di sintesi, dunque, si dovrebbe parlare di ‘coltivazione’.


Questo lecito chiarimento, da molti entusiasti usato per dimostrare come il procedimento di creazione degli “hamburger ecologici” sia del tutto naturale, apre le porte a riflessioni molto più profonde e precise sull’argomento.


La questione in Italia


Grosse voci si sono levate intorno al provvedimento del 23 marzo 2023 che vieterebbe la carne “sintetica”. In realtà si può solo affermare che la confusione tra i governanti è tanta.


Innanzitutto, bisogna chiarire che si tratta di un disegno di legge, approvato solo dal Consiglio dei Ministri, che sarebbe in attesa di un riscontro in Parlamento, non entrando ancora in vigore.

Inoltre, il testo non è ancora stato reso pubblico, ma alcune fonti stampa hanno dichiarato di averne potuto visionare una bozza, la quale riportava molte contraddizioni.


In attesa di ulteriori notizie in merito, al momento ci chiediamo: che senso ha vietare qualcosa che non esiste in Europa? Nell’Unione Europea, infatti, non è accolta la produzione di alimenti prodotti in laboratorio, a differenza degli Stati Uniti, dove si è dato il via libera anche alla produzione di carne di pollo (non al commercio per ora), e passerebbero anni prima di vedere in Europa prodotti di questo tipo. Dunque, se la proposta fosse approvata, dovremmo aspettarci solo un crollo di start-up, di aziende che stanno investendo e uno stop alla ricerca. Sarebbe l’ennesimo passo indietro “made in Italy”.


Economicamente parlando, non sarebbe la produzione di carne cruel free a causare perdita di posti di lavoro e investimenti nel settore della produzione, proveniente soprattutto dagli allevamenti intensivi, nel medio termine, quanto più il divieto stesso, nell’immediato.


Altro interrogativo sarebbe la questione import: Salvini, su Facebook, ha scritto che sarebbe stato vietato vendere, importare, produrre e distribuire carne e altri cibi sintetici in Italia, dimenticando quanto ciò andrebbe contro l’organismo sovrannazionale di cui facciamo parte. Sembrerebbe, infatti, che della bozza visionata da alcune fonti che ne hanno parlato a fine marzo, le sanzioni non si applicherebbero ai prodotti legalmente fabbricati o commercializzati in un altro Stato membro dell’Unione europea. Ciò vorrebbe dire che, qualora l’Ue dovesse approvare l’uso della carne coltivata dopo attenta valutazione, sulla base della libera circolazione di beni e servizi, l’Italia non potrebbe opporsi ad una loro vendita sul territorio.


Sebbene il ministro Lollobrigida abbia ragione su una possibile ingiustizia alimentare tra ricchi e poveri, c’è da dire che negli ultimi 8 anni il prezzo del prodotto è sceso di molto e potrebbe diminuire ancora nei prossimi anni.


Dunque, era davvero indispensabile fare questo passo ora?


Il processo di coltivazione


Premessa fondamentale: ogni cellula esistente in natura possiede un insieme di funzioni biochimiche specifiche, necessarie per la sua stessa sopravvivenza. In un organismo pluricellulare, formato cioè da miliardi di cellule, l’origine di tutto è lo zigote, cioè la cellula uovo materna fecondata dallo spermatozoo paterno.


Lo zigote è una cellula staminale indifferenziata totipotente, in grado di impegnarsi in varie linee differenziative e dar vita a tutte le cellule che compongono un essere vivente. È così che dallo zigote si passa all’embrione, nel primo trimestre, e da quest’ultimo poi al feto, sino alla fine della gravidanza.


Mano a mano che le varie cellule dei tessuti proliferano, si ottengono per ogni generazioni altre cellule staminali, le quali, diversamente dallo zigote di partenza, non possono formare ogni possibile tipo cellulare, ma sono in grado di impegnarsi soltanto in poche, ristrette linee differenziative. Ciò che conta, però, è che nell’organismo vivente vi sono sempre intere popolazioni di cellule staminali capaci di commissionarsi in specifiche linee cellulari e proliferare.


È da qui che si comincia per ottenere la carne in laboratorio:

● Cellule staminali indifferenziate vengono estratte dai muscoli di animali adulti viventi o, in alcuni casi, da embrioni viventi;

● Le cellule vengono conservate in un bioreattore che simula le caratteristiche fisiologiche specifiche del microambiente di sviluppo delle cellule animali;

● Mediante specifici fattori di crescita (proteine prodotte dalle cellule per stimolare determinati eventi biologici, presenti anche all’interno del nostro stesso corpo ), le cellule vengono nutrite e indotte al commissionamento: si ottengono così cellule muscolari specializzate;

● Una volta specializzate, le cellule muscolari si fondono fra di loro e vanno a formare il tessuto muscolare vero e proprio.

 

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Concettualmente, il bioreattore simula l’ambiente tissutale in cui una normale cellula staminale si trasforma - in questo caso - in una cellula muscolare. Qualcosa del genere avviene ogni qual volta un muscolo venga sollecitato in maniera intensa al punto da rompersi in alcuni punti: il danneggiamento delle fibre induce le cosiddette cellule satelliti (niente altro che staminali dormienti) a proliferare e trasformarsi in nuove cellule muscolari, che a loro volta si fondono alle fibre preesistenti riparando i microdanni del muscolo.


Il mezzo di coltura


Ovviamente, trattandosi di una coltivazione vera e propria, è fondamentale poter contare su un apposito mezzo di coltura, ovvero un ambiente in grado di fornire ormoni, sostanze nutritive e fattori di crescita alle cellule coltivate. In alcuni casi si ricorre al siero fetale bovino, ottenuto per mezzo del sangue del feto di bovine gravide durante il processo di macellazione. Questa tecnica, indubbiamente controversa per chi è animato da convinzioni vegane o vegetariane, è altresì indispensabile, in assenza di altri mezzi che possano vantare un’efficacia altrettanto significativa.


Per la ricerca, una delle sfide sta proprio nel riuscire a trovare mezzi di coltura effaci a livello biotecnologico ed economico.


Ipotesi di impatto ambientale


Sul piano ambientale, sembrerebbe che la Terra potrebbe solo trarne vantaggio. Tuttavia, la questione necessita di un quadro completo, che dimostra quanto difficile è fare previsioni al momento.


I dati positivi che possono essere raccolti sulla base teorica sono molti e largamente conosciuti. Innanzitutto, è risaputo che la filiera della carne, insieme agli allevamenti intensivi, producono da soli il 14,5% delle emissioni totali di gas serra. Alla base di tutto ci sono i pascoli, che attualmente rappresentano la destinazione di circa il 20 % delle terre emerse, e i mangimi, che ne rappresentano il 40%. La SAU, “superficie agricola utilizzata”, sarebbe di circa 1/3 della superficie terrestre.


Con la sempre maggiore richiesta di carne, aumenta la necessità di cibo da destinare alle aziende e aumenta anche la ricerca di campi destinati ad uso agricolo. La conseguenza è la deforestazione.


Alcuni dati pubblicati da un gruppo di ricerca, guidato da una dottoressa della Chalmers University of Technology, (Scienze, Settembre 2022), rimarca ancora una volta sul fatto che la principale causa della scomparsa delle foreste è l’espansione dei terreni agricoli.


La terra, inoltre, non ha mai ospitato tanti esseri umani e potremmo essere vicini al collasso, con la disponibilità di acqua potabile per soli altri 20 anni.


Questi gli elementi coinvolti: acqua, suolo e anche aria.

La produzione di carne che non proviene da un atto violento farebbe crollare le attuali percentuali:

● più del 70% di terre libere in più;

● più dell’80% di emissioni nell’atmosfera in meno;

● una riduzione significativa della probabilità di diffusione di malattie.


La produzione di carne coltivata potrebbe essere, a lungo termine, anche la soluzione per la fame nel mondo, a differenza dei prodotti OGM, che costituiscono un genere di prodotti alimentari modificati geneticamente e che non si sono rivelati una soluzione.


Nondimeno, uno studio pubblicato su PUBMED (e altri) da John Lynch e Raymond Pierrehumbert offre un interessante spunto di riflessione a riguardo: i ricercatori paragonano l’impatto ambientale della coltivazione di carne in laboratorio ai tradizionali allevamenti di bestiame, concentrandosi sulle emissioni di gas nell’atmosfera terrestre.


Da un punto di vista chimico, le emissioni sono causate in particolare da due gas: il metano, CH4, e l’anidride carbonica, CO2. Le emissioni di carne coltivata sono quasi del tutto a base di CO2, mentre gli allevamenti inducono massicci rilasci di CH4, CO2 e N2O (ossido di azoto). Secondo gli autori, in un primo periodo. la prevalenza di carne coltivata comporterebbe un impatto ambientale significativamente minore.


Tuttavia, sul lungo corso le cose potrebbero sostanzialmente invertirsi e il riscaldamento indotto dalla carne sintetica sarebbe addirittura superiore. Questo perché le emissioni di anidride carbonica, pur avendo un impatto minore di quelle del metano, impiegano millenni per poter essere dissipate, contro i 12 anni (circa) del CH4. In altre parole, l’influenza del metano sarebbe cumulativa.


Interpretare questi risultati con cinismo sarebbe quanto meno esagerato. Piuttosto, si dovrebbe riconoscere, con gli autori, che “l’impatto relativo [della carne sintetica] dipende invece dalla disponibilità di metodi per produrre energia decarbonizzata e dai sistemi di produzione specifici che vengono realizzati”.


Il futuro della ricerca


La coltivazione della carne sintetica è una tecnica promettente, innovativa e scientificamente interessante. Se si riuscisse a trovare un modo efficace per gestire tutte le variabili logistiche associate alla sua produzione, la carne coltivata potrebbe davvero rappresentare un notevole passo in avanti nella lotta al cambiamento climatico. Indubbiamente, però, c’è ancora tanta strada da fare.


Ecco perché, ora più che mai, è indispensabile permettere alla ricerca scientifica di proliferare ed avanzare liberamente, senza ostacolarla o ingolfarla con ideologie politiche e tecnicismi burocratici. Siamo sicuri che, con il tempo e il duro lavoro da parte degli scienziati, questa tecnica potrà riservare grandi sorprese negli anni a venire.


Fino ad allora, lasciamo libera la ricerca!


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