Cosa ci spinge al suicidio?
Il suicidio è fra le prime cause di morte giovanile in Europa. Ma cosa spinge così tanti - troppi - giovani a metter fine alla propria vita?

Come si nota dalle testate giornalistiche degli ultimi mesi, il tasso di suicidio di giovani studenti e studentesse è aumentato. Alcuni dei casi più recenti: Diana, studentessa di 27 anni di Somma Vesuviana; Antonio Luigi, studente di 29 anni a Chieti, originario pugliese.
Come Diana ed Antonio, tanti altri ragazzi, sottoposti a pressioni, stress e caos di vita quotidiana decidono di togliersi la vita ogni giorno.
È per questo che sembra necessario fare chiarezza sul quadro clinico e i modelli causali del suicidio. Tutte le forme di disturbi psicologici, in particolare la depressione portano ad un incremento del rischio di comportamenti suicidari.
Il 90/95% delle persone che arrivano a questo gesto hanno avuto in passato un disturbo psicologico e chi ne ha più di uno corre il doppio del rischio. Il suicidio, secondo l’OMS, è la quindicesima causa di morte al mondo, più di guerre e violenza. È necessario distinguere fra atti autolesionisti con ultimo fine la morte e atti di autolesionismo non suicidario (ANS): questa condizione, inserita nel DSM-5 necessita di ulteriori analisi.
I fattori associati al rischio di suicidio sono psicosociali e biologici. Le persone che vivono in un contesto caratterizzato da psicopatologie, instabilità, maltrattamento, sono più a rischio; queste esperienze incidono sulla vulnerabilità biologica, in particolare determinano un’alterazione della serotonina, la quale determina un incremento del rischio in modalità violenta.
A causa del contesto negativo, la persona tende a sviluppare disturbi di personalità, oppure tratti di personalità quali: disperazione, aggressività, impulsività. Infine, l’unione di fattori psicosociali e biologici determina aumento di ansia, attacchi di panico, insonnia, allucinazioni. Secondo uno studio (Busch et al. 2003) il 79% dei pazienti analizzati durante il ricovero per tentato suicidio avevano manifestato ansia e agitazione una settimana prima del tentativo.
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Secondo Joiner, autore della teoria interpersonale-psicologica del suicidio (IPTS), le persone ambiscono al suicidio quando si sentono un peso per la società e provano una sensazione di appartenenza contrastata. Tuttavia, questi requisiti, da soli, non soddisfano il tentativo. È necessaria un’altra condizione che quando si incastra con le precedenti determina un rischio elevatissimo di suicidio: la capacità acquisita di compiere l’atto.
Ad oggi, le modalità di prevenzione e trattamento dei comportamenti suicidari prevedono programmi di aiuto attraverso linee telefoniche dirette. A lungo andare, però, ciò che è necessario è un tempestivo intervento psicologico che porti ad una crescita della persona in questione, permettendole di vedere uno spiraglio nel buio.
Quello che noi in quanto comunità possiamo fare è aiutare il prossimo, essendo comprensivi ed empatici, dando importanza alla salute mentale e consigliando di intraprendere un percorso. Bellissimo l’esempio del carabiniere di Alessandria che, ad una minaccia di suicidio di una donna, ha reagito sedendosi accanto a lei e parlandole.
Il caro Pavese è uno di questi giovani che non ce l’ha fatta ma ci ha lasciato un insegnamento importante: “Tutto il problema della vita è questo: come rompere la propria solitudine, come comunicare con gli altri.”
Fonte: Psicopatologia e psicologia clinica. Hooley, Butcher, Nock, Mineka.
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