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35 anni fa l’esecuzione del demitiano Ruffilli per mano delle BR

A pochi giorni dall'anniversario dell'esecuzione di Roberto Ruffilli, ne ripercorriamo la politica e quegli ultimi, tragici giorni.


Sabato 16 aprile un nucleo armato della nostra Organizzazione ha giustiziato Roberto Ruffilli ideatore del progetto politico di riformulazione dei poteri e delle funzioni dello Stato nonché suo articolatore concreto. […] uno dei migliori quadri politici della DC, uomo chiave del “rinnovamento”, vero e proprio cervello politico del progetto demitiano, progetto teso ad aprire una nuova fase ”costituente”. Ruffilli era altresì l’uomo di punta che ha guidato in questi anni la strategia democristiana sapendo concretamente ricucire attraverso forzature e mediazioni, tutto l’arco delle forze politiche intorno a questo progetto, comprese le opposizioni istituzionali; […] un politico puro e perno centrale del progetto di riformulazione delle “regole del gioco” all’interno della più complessiva rifunzionalizzazione dei poteri e degli apparati dello Stato.


Con queste parole, riportate su un volantino ritrovato il 21 aprile in un bar di via di Torre Argentina a Roma, le Brigate Rosse per la costruzione del Partito Comunista combattente rivendicano l’esecuzione di Roberto Ruffilli, senatore democristiano nella IX e X legislatura, nonché cervello politico della politica demitiana.


Fu proprio il suo amico Ciraco de Mita - in quegli anni scelto segretario della DC in opposizione al PSI di Craxi, allora Presidente del Consiglio - a sceglierlo come uno dei suoi più stretti collaboratori per un progetto di riforma istituzionale, convogliato poi nell’83 nella Commissione per le Riforme Costituzionali presieduta dal liberale Aldo Bozzi, indicata a “creare dei sistemi istituzionali diversi, più rapidi, che abbiano maggiore consenso dell’opinione pubblica”.


L’apporto riformatore di Ruffilli era volto alla governabilità, che già costituiva un problema all’inizio degli anni ‘80. La DC, considerata già da molti in crisi, esprime la necessità di ritrovare una centralità nella compagine dell’esecutivo, già minata dalla presidenza Craxi.


Ma Ruffilli aveva una visione più ampia di quella partitica: “la creazione di una maggioranza solida non è un lusso, è la necessità in questa fase dell’evoluzione della democrazia in occidente, per mettere i cittadini in grado di partecipare davvero alle decisioni politiche fondamentali”.

 

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Il senatore auspicava che all’interno dei partiti vi fosse una maggiore democrazia e una maggiore regolamentazione, che avrebbe permesso ai cittadini di divenire parte attiva nelle decisioni politiche e nella designazione delle classi dirigenti dei partiti; si dimostra anche scettico con l’idea dell’uninominale, che si stava delineando in quegli anni, in quanto la decisione sarebbe stata tutta in mano alle segreterie di partito.


Ad ogni modo, le risultanze della Commissione Bozzi si risolsero con un nulla di fatto, essendo le volontà politiche delle tre fazioni contrastanti: la DC voleva solo una riforma elettorale, il PSI ambiva all’elezione diretta del capo dello Stato e il PCI al mantenimento dello status quo.


Cambiare le regole del gioco”, è proprio quest’accusa che gli costerà la vita quel sabato mattina.


Tre giorni dopo aver votato la fiducia al governo De Mita, tornato in mattinata da Roma nella sua amata città natale, acquistato tre quotidiani, Ruffilli rientra a casa; pochi minuti dopo, due finti postini bussano alla porta con il pretesto di recapitargli un pacco. In realtà sono un commando delle BR.


Entrati nell’abitazione i brigatisti fanno inginocchiare il professore e lo freddano con tre colpi alla nuca. Alle 16:45, una delle ultime cellule attive delle BR rivendica l’assassinio, con una telefonata al quotidiano La Repubblica.


Abbiamo giustiziato il senatore Ruffilli, a Forlì. Attacco al cuore dello Stato. Brigate Rosse per la costruzione del partito comunista combattente.


A dieci anni dal più celebre delitto Moro, un uomo mite e riservato diviene bersaglio dei brigatisti rossi. Anch’egli simbolo di un progetto politico riformatore, colpevole di essere troppo fiducioso verso il prossimo – sembra abbia fatto entrare i due carnefici fino al suo studio – e di non essere protetto come volti più noti, fu brutalmente ucciso 35 anni fa.


È un personaggio mite, un uomo di studio e di pensiero, un uomo intellettuale prestato alla politica.


Con queste parole, il suo mentore irpino salutò il feretro, con l’amara consapevolezza delle responsabilità su quella morte tanto atroce.


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