top of page

25 aprile: non solo un punto di arrivo

25 aprile 1945. La città di Milano viene liberata dopo la proclamazione dell’insurrezione generale armata da parte del CLNAI (Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia) nei territori ancora occupati dalle truppe nazi-fasciste. Nei giorni successivi tutta l’Italia settentrionale sarà liberata.


Il 25 aprile è una data spartiacque nella storia del nostro Paese: segna la fine di un’epoca e l’inizio di un qualcosa di nuovo.


Innanzitutto, è la fine della Repubblica di Salò, della parentesi “repubblichina” del fascismo (che, in realtà, era formalmente già caduto il 25 luglio 1943 quando Mussolini -messo in minoranza- venne destituito e arrestato), è la fine dell’occupazione tedesca e di Mussolini che di lì a poco sarà catturato e fucilato (28 aprile); è la fine di un’atroce guerra civile.

Il 25 aprile è il momento culminante della Resistenza: sia di quella “lunga” (che c’è sempre stata, nata in seno all’antifascismo fin dal 1922), sia di quella iniziata l’8 settembre del 1943 quando venne reso pubblico l’armistizio tra l’Italia e gli alleati anglo-americani.

Un doppio binario, quello resistenziale, che si snoda lungo i venti mesi dell’occupazione tedesca e lungo i venti anni del regime fascista.

L’aprile del ’45 è la realizzazione della fase finale della Resistenza che dagli ultimi giorni dell’estate del 1943 vede protagonista il CLN (Comitato di Liberazione Nazionale), organizzazione politica e militare istituita il 9 settembre a Roma e formata dai principali partiti e movimenti antifascisti che si andavano riorganizzando: Democrazia Cristiana, Partito Comunista Italiano, Partito Socialista Italiano di Unità Proletaria, Partito Liberale Italiano, Partito d'Azione, Democrazia del Lavoro.

L’Italia diviene teatro di una guerra civile: da una parte il fascismo repubblicano, dall’altra l’antifascismo; non si è trattato solo di una guerra contro i tedeschi o contro gli anglo-americani, la guerra di liberazione nazionale è stata di fatto una guerra civile che ha visto combattere Italiani contro Italiani.


Nel 1943 il territorio nazionale è quasi completamente occupato da eserciti stranieri:

  • nel centro-nord ci sono i Tedeschi, coadiuvati dai fascisti nelle operazioni più brutali: rastrellamento degli Ebrei e violenta repressione del movimento partigiano;

  • a sud ci sono gli Alleati che a fatica risalgono la penisola. Solo nella primavera-estate del 1944, sfondata la linea Gustav, giungono nell’Italia centrale, sottraendo sempre più territori all’occupazione nazi-fascista (Roma viene liberata il 4 giugno, poi è la volta di Firenze in agosto). L’avanzata anglo-americana subisce una battuta d’arresto nei mesi invernali e si blocca sulla linea Gotica. Le grandi città del nord vengono liberate nella primavera del 1945 quando l'attività partigiana va sempre più intensificandosi. Ed ecco il 25 aprile.



L’affermazione di una nuova coscienza italiana


Il 25 aprile è, per certi versi, un punto di arrivo, è l’epilogo di una guerra contro l’occupazione tedesca, contro il fascismo, per la liberazione nazionale.

Una guerra controversa perché gli equilibri erano davvero labili, dominava la precarietà politica e vi era un clima di sfiducia all’interno dello stesso panorama resistenziale (i rapporti tra gli alleati e i partigiani erano complessi e incerti); una guerra contradditoria che aveva visto vincere una sola Italia, quella affiancata dagli Alleati, contro un’altra Italia, schierata con il nazismo tedesco.

Ovviamente, ci si identificò con la fazione vincitrice che aveva sconfitto gli altri Italiani (i fascisti), considerati quasi non Italiani o, meglio ancora, nemici degli Italiani.


Ma il 25 aprile è soprattutto un punto di (ri-)partenza dal punto di vista civile, sociale e politico: occorreva ricostruire un Paese devastato dalla guerra, era necessaria l’affermazione di una nuova coscienza collettiva; per l’Italia era il momento di ritrovare un’idea di sé.

Impresa non affatto semplice -e per alcuni mai compiutasi del tutto, tanto che si parla ancora oggi di “Resistenza tradita”- anche per quella precarietà politica cui si è accennato sopra: nella Resistenza erano confluite le forze più disparate unitesi contro un nemico comune (i tedeschi e il fascismo) e non fu facile giungere a un punto di incontro, a un compromesso, in vista della ricostruzione post-bellica.


L’eredità della Resistenza e il rapporto con la letteratura dell’impegno


Espressione giuridica della nuova coscienza fu la Costituzione -entrata in vigore nel 1948- che divenne il presupposto fondamentale della Repubblica italiana, nata dall’antifascismo e dalla Resistenza.


Queste due componenti rappresentano pagine essenziali nella nostra storia nazionale, decantate in tutta quella che è una grande tradizione letteraria.

Si parla della “smania di raccontare” (Calvino), dell’esigenza di mettere su carta le drammatiche esperienze vissute in quella che è stata un’epopea collettiva; è nel filone del neorealismo che si inserisce la cosiddetta “letteratura della Resistenza”, tra cui figurano i nomi di Calvino, Fenoglio, Pavese, Viganò, Vittorini…

Il più grande romanzo epico sulla Resistenza è “Il partigiano Johnny” di B. Fenoglio (1968) che ha mostrato luci e ombre del movimento libertario, tanto da suscitare le reazioni avverse della sinistra stessa (preoccupata per il rischio di veder ridimensionato un fenomeno di portata storica): Fenoglio non idealizza la Resistenza, la racconta senza retorica, instillando dubbi sul netto discrimine tra “buoni” e “cattivi”.


Le critiche della sinistra investirono anche il romanzo “La casa in collina” di C. Pavese (1948) che mette sullo stesso piano le morti nere e rosse, “superando” le ideologie, il concetto di merito e colpa, insistendo sull’irrazionalità della guerra e l’insensatezza della violenza.

Gli autori non si tirano indietro, fanno sentire la propria voce, si schierano, prendono parte attivamente con impegno politico alla ricostruzione materiale e spirituale della società.

Spesso, in nome di quei valori sui quali si basa la stessa Costituzione: democrazia, uguaglianza, diritti di libertà, ripudio della guerra, solidarietà e partecipazione… Che sono, quindi, il prodotto della liberazione intesa come volontà di riportare la libertà e risvegliare le coscienze degli Italiani.

Da qui, l’importanza di celebrare il 25 aprile fin dal 1946 (D. L. L. su proposta di De Gasperi) per ricordare sempre.

“Abbiamo combattuto per la libertà di tutti; per chi era con noi, per chi non c'era e anche per chi era contro”.

- Arrigo Boldrini


50 visualizzazioni0 commenti

Post recenti

Mostra tutti
bottom of page